Pino Rinaldi: "Ad Avetrana qualcosa non torna. E il mostro di Firenze è libero"

I dubbi di Pino Rinaldi ("Faking It - Bugie o verità?") su due casi ancora scottanti. E il ricordo della confessione di Carretta: "In un istante capii tutto"

Mara Fratus

Mara Fratus

Giornalista

Nella mia vita non possono mancare, il silenzio, il mare e Il Libro dell'inquietudine sul comodino, insieme a un romanzo di Zafon.

Giuseppe Rinaldi
Fonte: Ufficio stampa Warner Bros. Discovery

"La passione per il crime è una cosa atavica nell’uomo, sin da quando ha messo piede sulla terra". Ci spiega così, Giuseppe Rinaldi, per tutti Pino, la curiosità che tutti abbiamo per i gialli, i casi irrisolti, i true crime che tanto ci fanno amare le serie TV e le trasmissioni che ne parlano. E chi meglio del giornalista e conduttore televisivo che, ieri sera su Nove, è andato in onda con la prima puntata di Faking It – Bugie o verità?, ci può spiegare come mai la cronaca nera, anche quella più violenta, incolla i telespettatori alla schermo?

Nel suo programma, quattro puntate in tutto, Rinaldi, con l’ausilio dei profiler Margherita Carlini, Felix B. Lecce e Diego Ingrassia, analizza alcuni dei delitti più discussi del nostro Paese. Un’analisi che, andando oltre alle indagini condotte e dalle sentenze emesse, cercherà di esaminare i protagonisti dal punto di vista del loro comportamento non verbale e, quindi, studiando il linguaggio del loro corpo per cercare di capire cosa ci può dire di più, oltre a quello che è già stato scritto sui verbali dagli inquirenti.

Ma quanto sono importanti le figure del profiler, del listener e del watcher all’interno di un’indagine, e che peso hanno nella soluzione di un caso?

Queste figure hanno e avranno sempre più importanza. Il tipo di conoscenza di questi esperti, che sanno capire e tradurre il linguaggio non verbale, quello del corpo, ha dato molte chiavi di lettura nelle indagini. L’uomo, anche senza questi studi, ha già in sé il germe dell’intuizione, un sesto senso che ci guida nelle valutazioni e che adesso è oggettivizzato, tra l’altro anche nella programmazione neurolinguistica (Pnl). Le valutazioni degli esperti nei casi crime di Faking It saranno condivise con il pubblico, ma se ci pensiamo bene questo modo di interpretare i segni non verbali può essere utilizzato molto più in generale, per comprendere il linguaggio dell’uomo nella realtà di tutti i giorni.

In Faking It – Bugie o verità?, analizzate 4 casi, dove tutti gli assassini, o i presunti tali, si dicono innocenti. Qual è il più complesso a suo avviso?

Sicuramente quello di Avetrana.

Che idea si è fatto di Michele Misseri?

Io sono un giornalista e un narratore, accompagno in un viaggio di conoscenza le persone, questo è il mio ruolo. Per quanto riguarda Michele Misseri posso dire di avere molta stima di Coppi (l’avvocato di Misseri, ndr), e lui dopo la sentenza voleva addirittura lasciare la professione. Ci sono le sentenze e vanno rispettate, ma quello che è successo in quei giorni ad Avetrana è qualcosa che lascia degli interrogativi.

Proprio di Michele Misseri, in carcere per l’occultamento del cadavere di Sarah Scazzi, si è tornato a parlare in questi giorni. Uscirà nella primavera del 2024, grazie al decreto Svuota carceri e con uno sconto di pena di 41 giorni, oltre a un ristoro economico per il trattamento lesivo dei diritti umani nel carcere di Lecce, dove ha vissuto in meno di 3 metri quadrati, senza acqua calda né doccia. Che cosa pensa della situazione nelle carceri italiane?

Il carcere è una struttura che non può essere debellata, deve esistere ed è giusto che esista, logicamente occorre un investimento da parte dei nostri governanti che punti a migliorare le condizioni al suo interno. Io sono sempre dalla parte di chi ha subito un torto ed è giusto che chi ha sbagliato paghi, per cui lo Svuota carceri è una scorciatoia sbagliata che non risolve il problema. Gli istituti penitenziari non devono essere certo un hotel a 4 stelle, ma al loro interno è necessario prevedere un percorso serio di riabilitazione della persona.

La cronaca nera affascina, lo vediamo sempre più di frequente anche in TV, dove le serie true crime sono tra le più viste. Come mai? Cosa spinge il pubblico ad appassionarsi a queste storie, anche alle più violente?

È un meccanismo atavico, antico e vecchio come l’uomo. Quando la specie umana è comparsa su questo pianeta ha fatto da subito due cose: inseguire e intrecciare. Se ci pensa, anche nei gialli e nei polizieschi accade la stessa cosa: si insegue una preda, che è l’assassino, e si fa un’indagine, che è l’intreccio.

A lei invece come è scattata la "passione" per la cronaca nera di cui si occupa da oltre 30 anni?

A me piace il mistero. Quando ero ragazzino sulla Rai andavano in onda due sceneggiati, Il segno del comando e Belfagor. Lì c’era tutto, e io ero affascinato e tutt’ora continuano ad appassionarmi.

Quindi le serie e le fiction continua a guardale?

Come no! Mi è piaciuto tantissimo Il Commissario Ricciardi, ma adoro anche Giallini, Rocco Schiavone e tanti altri.

Ripercorrendo la sua carriera è impossibile non ricordare la confessione che Ferdinando Carretta le fece nel 1998 a Chi l’ha visto?, dove a lei prima che ad altri disse di aver sterminato tutta la sua famiglia. Come si sentì di fronte a quelle parole?

Sconvolto, preoccupato, turbato.

E alla luce di quello che ci siamo detti prima sul linguaggio del corpo, quello di Carretta cosa le comunicava, lo ricorda?

Inconsapevolmente io avevo messo in azione tutto ciò che è possibile mettere in moto a livello cellulare. Quando chiesi a Carretta se voleva lanciare un appello per ritrovare i genitori, (dato che Chi l’ha visto? poteva raggiungere anche molte persone all’estero), visto che eravamo quasi sotto Natale, lui abbassò gli occhi, gli rialzò e mi disse: "E se non potessero ascoltare?". In realtà lui aveva già deciso di parlare e io, in quel preciso istante e con quello sguardo, capii tutto quanto: lui aveva rotto un muro che teneva in piedi da 10 anni. Mi trovai di fronte una persona che aveva dentro un dolore infinito, e ho sempre mantenuto con lui i contatti, come con altre persone che ho conosciuto negli anni di Chi l’ha visto?, mi piace mantenere i rapporti umani.

La sua trasmissione che porta nel cuore?

Chi l’ha visto? Lì sono cresciuto e mi sono fatto le ossa, a quella trasmissione io devo tutto.

E quella che le sarebbe piaciuto condurre?

Due che purtroppo non ci sono più: Telefono Giallo ed Enigma. Mi piace la televisione seria, che fa un servizio e che aiuta a fra crescere la consapevolezza nelle persone.

Qual è secondo lei il caso di cronaca nera più controverso, o "appassionante" (mi lasci passare il termine) in Italia?

Il Mostro di Firenze: il caso più intricato, più complesso e quello di cui non si finirebbe mai di scrivere e parlare.

E proprio sul Mostro di Firenze, Giuseppe Rinaldi ci fa uno spoiler.

Sto iniziando a scrivere un libro a quattro mani con un famoso investigatore, proprio sul Mostro di Firenze. Io sono un innocentista e secondo me i "compagni di merende" erano solo tre poveri disgraziati, per me il Mostro è libero, oppure è morto, ma non è mai finito in galera.

E nel mondo? C’è un’indagine che le sarebbe piaciuto seguire più da vicino?

Quella che ho seguito a RaiDoc, dove abbiamo fatto un parallelismo tra Unabomber italiano e quello USA. Mi sarebbe piaciuto essere negli States per seguire da vicino la vicenda di quello americano.

Secondo lei c’è una differenza su come vengono condotte le indagini in Italia e all’estero? C’è qualcosa che potremmo, o dovremmo imparare?

Noi abbiamo, nelle Forze dell’ordine, tra i corpi più preparati del Mondo. Logicamente l’FBI ha dovuto produrre una serie di ricerche e specializzarsi, arricchendosi di tanta esperienza per necessità, perché nella loro realtà hanno casi di cronaca nera ogni settimana. La direzione, comunque, resta quella dell’analisi psicologica con l’aiuto dei profiler.

Di Mara Fratus


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