Antonino Monteleone, Le Iene: "Sulla strage di Erba strada in salita, ma oggi il pubblico ci sostiene"

L'inviato della trasmissione di Italia Uno porta l' inchiesta sulla strage del 2006 in libreria, e in questa intervista a Libero Magazine racconta il suo lavoro e risponde alle critiche

Valentina Di Nino

Valentina Di Nino

Giornalista

Romana, laurea in Scienze Politiche, giornalista per caso. Ho scritto per quotidiani, settimanali, siti e agenzie, prevalentemente di cronaca e spettacoli.

Dopo decine di servizi televisivi e due speciali , il grande lavoro seguito in tv dal pubblico de Le Iene sulla strage di Erba diventa un libro. "Erba", edito da Piemme, uscito in questi giorni in libreria, è la lunga inchiesta firmata da Antonino Monteleone e Francesco Priano che ha portato alla luce elementi, rimasti a lungo nel buio, sull’efferato quadruplice omicidio del 2006 in un paesino della provincia di Como, per il quale sono stati condannati all’ergastolo i vicini di casa delle vittime, Olindo Romano e sua moglie Rosa Bazzi. In questa intervista ne abbiamo parlato con uno dei due autori, la Iena Antonino Monteleone.

Intervista ad Antonino Monteleone, le Iene

Monteleone, quando inizi a occuparti per Le Iene della vicenda di Erba?

Alle Iene abbiamo pubblicato il primo servizio a settembre 2018, ma abbiamo cominciato a lavorare su questa storia a dicembre 2017. Sapevamo già in partenza che avremmo fatto un racconto di più puntate, coprendo varie linee narrative e diversi aspetti dalla vicenda: dalle intercettazioni, alle prove scientifiche alle testimonianze. Di cose poi, in questi cinque anni, ne sono successe molte altre.

Quello di Erba sembrava un caso chiuso: c’era un testimone oculare e soprattutto le confessioni degli imputati, cosa ti ha fatto scattare l’interesse su una storia su cui sembrava non ci fosse nulla da aggiungere?

Apparentemente questa è una storia perfetta. Non capita certo in tutti i processi di trovarsi di fronte a confessione, testimone oculare e prova scientifica. La curiosità su questo caso mi è stata trasferita da un collega, Felice Manti de Il Giornale, che si è occupato fin da subito della vicenda e mi ha fatto leggere il libro che aveva scritto con il collega Edoardo Montolli, e alla fine di quella lettura ero abbastanza sconvolto. Stiamo parlando del 2010 o 2011, io nemmeno me lo immaginavo che poi avrei lavorato per Le Iene. Quando poi abbiamo deciso di occuparcene per il programma, ci siamo trovati anche noi di fronte alla necessità di raccontare elementi praticamente sconosciuti mentre ci siamo resi conto che altri, pressoché inesistenti, sono rimasti cristallizzati nella percezione dell’opinione pubblica, che quindi si è fatta un’idea sulla base di informazioni incomplete.

Qual è il primo elemento che hai scoperto che ti ha fatto "saltare sulla sedia"?

Uno, subito. Il fatto che il testimone oculare abbia riconosciuto subito Olindo come autore della strage è un clamoroso falso, ed emerge solo perché qualcuno si è preso la briga di leggere i verbali non limitandosi a quanto scritto nella sentenza. Addirittura Mario Frigerio, il testimone oculare , unico sopravvissuto alla strage, fa l’identikit di un uomo che non somiglia affatto a Olindo: "carnagione olivastra, non del posto, forte come un toro, più alto di me e con tanti capelli". Il secondo elemento clamoroso è la macchia di sangue che sarebbe stata trovata sul battitacco dell’ auto dei condannati. Sono andato dal carabiniere che quella macchia avrebbe rilevato ed è lui stesso a dire che quella macchia potrebbe essere il frutto di una involontaria contaminazione da parte di chi aveva eseguito la perquisizione.

Quindi, qual è stato il metodo di lavoro dietro ai servizi de Le Iene e dietro al libro?

Il lavoro più faticoso è stato immergersi in decine di migliaia di pagine tra verbali di indagine, verbali di udienze e perizie. Un percorso in cui non ci si è limitati a leggere la sentenza perché, ricordiamolo, le sentenze sono scritte anche per reggersi, ma per andare a cercare tutto quello che c’è stato prima, per avere una conoscenza più ampia per la vicenda. L’approccio iniziale è stato quello del tentativo di azzerare ogni dubbio sulla colpevolezza di Olindo e Rosa. Ma ci siamo accorti subito di tante incongruenze.

Davanti a una confessione (duplice) è più complicato nutrire i dubbi, e l’opinione pubblica è rimasta a lungo a quell’elemento

Si, però qui c’è una parte di lavoro che avremmo dovuto fare anche noi giornalisti e che non è stato fatto. Non è che se io domani dico che ho ammazzato Kennedy vuol dire che effettivamente ho ammazzato Kennedy. Devo dimostrare che ho preso l’aereo, sono andato in America e ho ammazzato Kennedy quel giorno, a quell’ora e in quel modo. Nel caso di Rosa e Olindo, dopo la confessione nessuno ha fatto alcun accertamento ulteriore. Nel caso di Rosa e Olindo le confessioni sono dettagliate, ma quando gli si chiede di più e si approfondisce sul merito e la dinamica del delitto, non sanno rispondere.

Ma se Rosa e Olindo non sono colpevoli, qual è la pista che è stata trascurata? Che idea ti sei fatto?

Sono convinto che le vittime designate della strage, Raffaella Castagna e il suo bambino di due anni e mezzo, Youssef, fossero tali per colpire Azouz. Lui continua a minimizzare l’impatto che il suo passato potrebbe aver avuto su quello che poi è successo.

Ma questa pista quanto è stata battuta?

Dagli inquirenti che hanno indagato sulla strage di Erba poco, però dopo la strage c’è un blitz della Guardia di Finanza a seguito del quale Azouz e i suoi parenti coinvolti ritornano in carcere, e scopriamo che i telefoni di Azouz, di Raffaella e il fisso di casa, erano intercettati. Ma nonostante svariati tentativi di poter ascoltare tali intercettazioni, non c’è stata mai la possibilità perché la confessione di Rosa e Olindo ha bloccato ogni altra pista. Io trovo che invece si sarebbe dovuto scavare ancora.

Cosa rispondi alle accuse di cherry picking, ovvero della pratica di selezionare solo gli elementi della vicenda a sostegno di una tesi precostituita, in questo caso dell’innocenza di Rosa e Olindo?

Una parte consistente dell’attività giornalistica, secondo me la principale, è nella responsabilità di selezionare gli elementi che ritengo utili ai fini del racconto. Io, quando prendo le ciliegie dal cesto, per prima cosa butto quelle avariate perché non mi metto a ripetere delle bugie, e poi devo ovviamente argomentare come sono arrivato a capire che quelle sono ciliegie marce. Si fa un travisamento malizioso confondendo l’anima del lavoro giornalistico con questa simpatica espressione anglosassone che vuol dire che cogliamo solo gli elementi che ci fanno comodo, ma questa è un’accusa che io rigetto totalmente. Tutti gli elementi che usiamo in questa inchiesta li abbiamo trovati nel cesto di ciliegie dell’accusa, non in quelli della difesa, e spesso senza nemmeno confutarli, ma semplicemente riportandoli. Chi dice che io faccio cherry picking è invitato a confrontarsi direttamente con me sugli elementi emersi. Io dico che nel processo, a parità di fatti, Rosa e Olindo dovevano essere assolti. Ed è stato necessario alterare alcuni fatti perché potesse reggersi il racconto della loro colpevolezza. Se si leggono solo le sentenze però, è logico che questo racconto si auto-regge. Ma ci dobbiamo decidere: o il giornalismo svolge un’attività di vaglio del potere oppure rimane solo una sua cassa di risonanza.

Hai definito questa inchiesta un racconto impopolare nel senso di strada poco battuta, però ci sono tanti altri colleghi, anche con meno visibilità, che fanno questo faticoso lavoro di vaglio

E’ un approccio, il nostro, che costa, in molti modi. Una testata che copre la giudiziaria "sbufalando" un pm, a un certo punto avrà difficoltà ad avere notizie. E’ uno scambio, un sistema strutturato: qualcuno passa le carte, qualcun altro le riporta così come sono, senza rompere troppo le scatole e coprendosi anche dal rischio querela. Chi copre la giudiziaria ha bisogno di amici in procura.

E alle Iene non servono amici in procura?

Infatti, rispetto alla media delle altre testate, noi abbiamo molti meno amici in procura. E quando non hai chi ti passa regolarmente le carte, c’è una fatica diversa a lavorare. Quando ricostruisci una vicenda, il soggetto te lo puoi far scrivere da qualcun altro, oppure lo puoi scrivere tu andando a controllare se quello che leggi è vero. Ed è molto più faticoso.

Vieni da esperienze diverse: Report, Piazza Pulita, che differenze hai trovato approdando alle Iene?

Sicuramente un talk come Piazza Pulita è molto diverso da un programma come le Iene che invece ha molti punti di contatto con Report visto che, in entrambi i programmi il servizio filmato è centrale ed è il contenuto più importante, mentre nel talk la cosa più importante è ovviamente il dibattito e il momento in studio, quindi è fondamentale la qualità delle domande che si preparano. Tra Report e Le Iene forse la differenza maggiore invece è nell’ampiezza dei temi trattati.

Invece, al di là della struttura della trasmissione, qual è la differenza maggiore che hai riscontrato nel lavoro di reporter?

Ho trovato grande libertà narrativa. E vedo che anche una trasmissione come Report tenta di assomigliare sempre di più alle Iene. La differenza che ho saggiato più di tutte alle Iene è la libertà di movimento e la protezione assoluta da ogni forma di condizionamento. Mentre stai girando non c’è nessuno che ti disturba o che ti chiede cosa sta succedendo, se ne parla sempre dopo.

Ma il segreto del successo de Le Iene qual è secondo te?

Credo che Le Iene sia come un grande bistrot che offre cucina internazionale e quindi soddisfa tutti i palati. C’è lo scherzo, c’è l’intrattenimento e poi c’è la parte di approfondimento e della strada meno battuta sui fatti di attualità.

Ma questo miscuglio non rischia di minare l’autorevolezza quando affrontate argomenti più seri, dopo che magari avete proposto lo scherzo goliardico a un personaggio?

Ritengo che il pubblico delle Iene sia in grado di capire il cambio di registro guardando il programma. Uno scherzo fatto in un preciso momento non diminuisce l’autorevolezza di altri momenti della trasmissione. La serietà con cui ci approcciamo ad altri temi viene riconosciuta. In questi anni abbiamo visto programmi che proponevano una certa "purezza" che non sono sopravvissuti, mentre le Iene, con la loro formula variopinta, vanno avanti da 26 anni. Il pubblico credo sia molto più intelligente di quello che viene raccontato da una certa critica che in fondo lo disprezza.

A proposito del pubblico che vi segue, quali sono state le reazioni sulle inchieste su Erba? Gli spettatori ti hanno seguito subito?

No. E’ stata una strada molto accidentata e completamente in salita. Ma in qualche modo proprio la nostra credibilità giornalistica ci ha dato l’opportunità di chiedere un atto di fiducia iniziale. Abbiamo detto al pubblico: "Seguiteci in questo percorso, perché all’inizio vi disturberà, ma se avrete la pazienza di seguirci sarete premiati venendo a conoscenza di elementi nascosti su questa vicenda". Oggi, dopo cinque anni, su questa storia il sostegno del pubblico è fortissimo. Se passa qualche settimana in cui non ci occupiamo del caso siamo inondati di mail di persone che ci chiedono novità.

A che punto siamo ora, c’è una richiesta di revisione?

Ce ne sono tre: una della procura generale di Milano, un’altra della difesa e quella del tutore di Olindo. Dopo 39 servizi in onda, due prime serate, un libro e una nuova prima serata su cui stiamo lavorando.

A fronte di ben tre richieste di revisione, qual è il pensiero della difesa di Olindo e Rosa, c’è ottimismo?

No, i legali sono molto cauti. Sono ottimisti perché sentono un sostegno che prima non sentivano, ma non è facile ammettere un errore giudiziario, per come è impostato il nostro sistema.

Tra tutte quelle di cui ti sei occupato finora, quella di Erba è la storia che ti ha coinvolto di più?

Difficile scegliere tra questa e quella di David Rossi. Della strage di Erba non se ne parlava più e ora è tornata di attualità. Forse sì, per il tempo, l’impatto fisico e anche emotivo questa è la storia che mi ha preso di più.

L’opinione pubblica però continua ad essere spaccata, e alcune reazioni alla vostra inchiesta ne sono la prova

Io rifiuto questa contrapposizione tra innocentisti e colpevolisti. Questa è più una partita tra chi conosce tutti gli elementi e chi li conosce in parte. Ed è anche una partita tra due modi di fare informazione giudiziaria: il modo pigro che è solo riportare ciò che si legge e un modo invece più faticoso, di verifica di ciò che è scritto. Quello che però vorrei è che il mio lavoro venisse rispettato visto che io rispetto il lavoro altrui. Sulla vicenda di Erba ho letto sfondoni incredibili su testate blasonate, cose anche gravi, e per molto meno delle Iene si invoca ogni volta la chiusura. Forse perché è una trasmissione che va avanti da 26 anni, che la gente guarda, di cui discute e che ogni tanto riesce ad avere un impatto significativo sulla realtà. Il pubblico televisivo è crollato in questi anni, eppure le Iene continuano a fare gli stessi ascolti. Il linguaggio delle Iene non ha come obiettivo il fatto di far sentire il pubblico escluso da ciò di cui si parla, ma di spiegarlo chiaramente. Solo che, se ci si approccia a una questione complessa bisogna dominarla per poi semplificarla. Il mio obbiettivo non è far vedere al pubblico quanto ho studiato, ma avvicinarmi a una questione complicata con gli strumenti che ho acquisito studiando per poi semplificarla. Se invece ti avvicini a una questione complessa senza gli strumenti adatti non è sicuro che la semplificazione che poi ne fai non sia dannosa. Se nella vita fai il giudice dei ballerini e poi parli di giudici di tribunali non è sempre sicuro che l’effetto sia informativo invece che deformativo. Il primo dovere di chi fa informazione dovrebbe essere informarsi prima di informare.


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