Paolo Calissano, il fratello scava nelle ragioni della morte: "Non fu un errore, lo aiutò solo Maurizio Costanzo"
Dopo diversi anna dalla morte del noto, attore, il fratello torna a riflettere sulle ragioni che lo hanno portato a spingersi al limite, prima della morte.

Un fratello che non si rassegna, un ricordo che torna vivo in ogni fotografia. Roberto Calissano ha raccontato al Corriere della Sera la storia di Paolo, l’attore genovese che il 29 dicembre 2021 è stato trovato senza vita nella sua casa di Roma. Non è stato solo un volto amato delle fiction, ma anche un uomo con le sue fragilità, schiacciato da depressione, scandali e una condanna morale da cui non riuscì mai a liberarsi.
L’infanzia di Paolo e Roberto Calissano
Paolo e Roberto erano separati da dieci mesi appena. "Era il maggiore, più grande di dieci mesi e mezzo. Però faceva grado, come al militare. Anche da bambini, nella cameretta, scelse lui il letto vicino alla finestra", racconta oggi Roberto. L’infanzia fu segnata da un padre severo che non credette mai nel talento artistico del figlio: "Lo voleva in azienda, come me. Mio fratello lo mandò al diavolo. La disapprovazione paterna lo ha segnato per sempre". Già da adolescente Paolo mostrava un’indole spavalda, capace di imporsi e di attirare attenzioni. Roberto ricorda episodi che ancora lo sorprendono: "Quando nostra madre ci lasciava con le figlie delle sue amiche, Paolo riusciva a conquistarle. Avevamo 14 e 15 anni. Per comprare il mio silenzio mi regalava qualche reggiseno". Una sfrontatezza che lo accompagnò a lungo, insieme a un fascino che in futuro lo avrebbe reso amatissimo dal pubblico televisivo.
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Entra nel canale WhatsAppLa depressione di Paolo Calissano e la bufera mediatica
Il successo e le fragilità Con fiction come Vivere arrivò la popolarità. "Quando prenotavo un ristorante scandivo bene il cognome. "Calissano come l’attore?". "Sì, è mio fratello". Mi gasavo, come fossi io quello famoso". Ma dietro l’immagine da protagonista c’era una sofferenza nascosta: "Era depresso, ma lo nascondeva. Non voleva mostrare debolezza, si sentiva pur sempre il fratello maggiore".
Il crollo e le accuse Nel 2005 la morte di una donna brasiliana per overdose di cocaina nella sua casa di Genova segnò la sua carriera. Paolo patteggiò quattro anni di reclusione scontati in comunità: "Non si è più risollevato. Non fu colpa sua, è stata una disgrazia. Mio fratello provava profonda vergogna per aver disonorato la famiglia". Da lì in poi il lavoro si fermò: "Aveva scontato la pena, ma contro di lui è rimasta una censura morale fortissima. In America attori come Robert Downey Jr o Mel Gibson sono stati perdonati, lui no".
Gli ultimi anni Maurizio Costanzo provò ad aiutarlo, ma i suoi demoni erano più forti. "Quando smise con la cocaina, la sostituì con i tranquillanti. Sono stati quelli a ucciderlo, non la droga". Roberto ricorda anche l’ultimo invito rifiutato: "Gli proposi di passare insieme il Natale. Mi rispose che preferiva restare a casa sua. Aveva la voce affaticata, impastata. Era il preludio della fine".
La scoperta della morte
La telefonata arrivò la sera del 29 dicembre 2021: ""Paolo è morto". Non ci credevo. Con i tranquillanti dormiva anche tre giorni di fila. Risposi: "No dai, prova a scuoterlo, vedrai che si sveglia". Poi mi dissero che era già arrivata la polizia". Roberto non ha voluto vedere il fratello da morto: "Ancora oggi, quando guardo le fotografie, me lo ricordo perfettamente. La sua pelle, i capelli neri, il naso, come se l’avessi visto un secondo fa".