Luca Argentero: “Orgoglioso di Doc, nella terza stagione affronteremo temi scomodi”

L’attore anticipa cosa possiamo aspettarci dal suo personaggio nella terza stagione dell’amata fiction di Rai Uno che arriva in tv a gennaio 2024

Valentina Di Nino

Valentina Di Nino

Giornalista

Romana, laurea in Scienze Politiche, giornalista per caso. Ho scritto per quotidiani, settimanali, siti e agenzie, prevalentemente di cronaca e spettacoli.

Le vicende dei medici della serie Doc- Nelle tue mani stanno per tornare in tv. Precedute da un’anteprima delle prime due puntate che sarà visibile nei cinema italiani come evento speciale, lunedì 18 e martedì 19 dicembre, l’amata fiction che segue le vicende professionali e personali del dottor Andrea Fanti e dei suoi colleghi del reparto di Medicina Interna del Policlinico Ambrosiano, torna per la terza stagione in prima serata su Rai Uno a partire dall’11 gennaio 2024. Nel cast, insieme a Luca Argentero, i telespettatori ritroveranno Matilde Gioli, Sara Lazzaro, Pierpaolo Spollon, Giovanni Scifoni, Elisa D’Eusanio. Mentre tra le new entry troveremo, reduce dal successo di Mare Fuori e Noi Siamo Leggenda, Giacomo Giorgio.

Quali sono le novità di Doc3? Come ritroveremo il protagonista e quali sono le nuove sfide che lo attendono? A queste, e a molte altre domande, ha risposto Doc in persona, o meglio, il suo interprete Luca Argentero, nel corso dell’incontro stampa per la presentazione dell’attesissima Doc 3.

Doc 3, Luca Argentero: "Doc è un personaggio che mi rende orgoglioso, felice di essere ricordato per questo"

Un fuoco di fila di domande e curiosità su Doc3, è quello a cui si è sottoposto Luca Argentero, svelando qualcosa in più della nuova stagione della fiction, ma soprattutto raccontando il suo rapporto con il personaggio di Doc, gettando uno sguardo sulle prospettive future di una serie tanto amata e, su sollecitazione, mandando anche un chiaro messaggio al direttore artistico di Sanremo.

Luca Argentero, è tornato sul set di Doc per la terza volta, che differenza c’è tra l’approccio che si ha a un progetto che è all’inizio, e quello che si ha tornando sullo stesso set per la terza volta?

"Quando abbiamo dato il via al lavoro sulla terza stagione ero molto curioso di vedere come sarebbe stato possibile fare una cosa abbastanza coinvolgente, che mantenesse il livello molto alto delle precedenti. Nella prima stagione si raccontava per la prima volta al pubblico la storia fortissima di Doc. La seconda ci ha praticamente raccontato in tempo reale l’epoca del Covid, addirittura anche anticipando alcune cose che poi sono successe nella realtà. Mi chiedevo: come faranno gli sceneggiatori a garantire la stessa tensione? E invece ce l’hanno fatta! E anche per me è stata una sorpresa, anche perché poi non è che noi riceviamo tutti i copioni di tutte le puntate tutti insieme, quindi scopriamo passo passo cosa accade. La sfida più grande è sempre mantenere alta la tensione e i motivi di interesse in una serie così lunga.

Come ritroviamo il suo personaggio in Doc3? Cosa possiamo aspettarci da questa terza stagione?

Tutto quello che succede non lo possiamo dire, però possiamo dire che Doc, come succede davvero a chi ha perso la memoria, sarà aggredito da ricordi che aveva perso. Si ritroverà così in una situazione veramente difficile, perché se non hai memoria non puoi essere sicuro che i tuoi ricordi siano veri, ci vuole sempre qualcuno che te li deve confermare, "certificare". Quindi il grande tema di questa stagione è il ritorno del passato. L’altro tema di Doc3 è la gestione del nuovo camice da primario e di tutto quello che ne consegue. Quindi parliamo di tutto ciò che ha a che fare con la gestione del potere, con la gestione del denaro, con il fatto che un reparto, soprattutto di Medicina Interna, deve essere sempre più economicamente sostenibile. Perché oggi non basta più essere bravi nel proprio lavoro, bisogna anche essere profittevoli. Ed è una cosa che stride profondamente con l’approccio alla medicina di Doc.

Tema spinoso e molto attuale, ma Doc è una serie molto radicata nella realtà

Quello che noi raccontiamo ha sempre un’ispirazione nel reale. Parte dai racconti di Pierdante Piccioni, che è più che un padre della serie visto che Doc racconta la sua vera storia. Una delle cose che mi piace di più di questa serie, sin dalla prima stagione, è il non aver paura di affrontare temi delicati come quelli che riguardano la salute del cittadino. E in questo caso il racconto si trasforma quasi in un dito puntato contro un nuovo approccio alla medicina, che guarda prima di tutto al profitto. Un reparto di Medicina Interna ormai non ha quasi più senso di esistere: si vogliono reparti sempre più specializzati, esami sempre più costosi. Il paziente stesso è una fonte di reddito. Da come viene trattato il malato, l’ospedale trarrà o meno un profitto. E’ un tema incredibilmente scomodo, ma attraverso le parole e gli occhi di Doc capiremo che in un sistema sanitario che funziona, al centro ci deve essere sempre la persona. Questo secondo me è anche uno dei motivi del grande affetto che le persone hanno nei confronti di Doc. Non è solo il medico che vorrebbero incontrare, rappresenta il Paese, il sistema in cui vorrebbero vivere.

Doc sarà aggredito dai ricordi di cui la perdita di memoria lo aveva temporaneamente liberato. Pensa che a volte sarebbe meglio dimenticare e non tenere memoria di certi ricordi del passato?

Io la penso come Doc: ogni ricordo è prezioso. Sia quelli positivi che quelli più dolorosi e negativi contribuiscono a creare la persona che siamo, quindi secondo me vale la pena di salvaguardarli tutti.

Il personaggio di Doc le ha in qualche modo cambiato la vita?

Personalmente non mi sento di essere cambiato, anzi, sono molto contento di sentirmi sempre uguale a me stesso, a livello di carattere. Certo, sono un po’ invecchiato rispetto alla prima stagione, ma con lavori così lunghi, dopo i 40 anni, è normale invecchiare con i propri personaggi.

A livello professionale invece, come colloca nella sua carriera il personaggio di Doc?

Professionalmente Doc, quando me l’hanno proposto, aveva un coefficiente di rischio altissimo, ancora non so cosa ci sia saltato in mente. Non c’era nessun esempio di serie Medical di successo in Italia, era veramente un salto triplo nel buio. Noi abbiamo creato un mondo nei minimi dettagli: ci confrontavamo anche nella ricostruzione degli ambienti del reparto.

E’ stata una fortuna, per me, incontrare un personaggio che è entrato subito nel cuore delle persone. Nove volte su dieci i giornalisti mi chiedono se mi preoccupa l’idea di essere così identificato in un personaggio, se non ho paura che noccia alla mia carriera, io invece lo reputo quasi un lusso, un privilegio. Ci sono poche cose memorabili nella carriera di un attore, e tendenzialmente le cose che si fanno vengono presto dimenticate. L’idea di poter essere ricordato per personaggio e una serie così positiva, che ha generato così tanta empatia e affetto da parte del pubblico, mi riempie di orgoglio.

Devo dire poi, che personalmente e professionalmente, l’incontro con Pierdante Piccioni, è stato un incontro fenomenale: è un cervello raro, unico. Il più grande insegnamento che noi cogliamo dalla sua storia incredibile è che anche dal peggior guaio in cui ci cacciamo bisogna trovare la forza di trasformarlo in una possibilità, in qualcosa di positivo.

Secondo lei, qual è il segreto del successo del personaggio e della serie?

Doc è un personaggio che ha avuto un riscontro molto particolare. Io dico di essere un 8-88, cioè vado bene per i ragazzini, per le mamme, per i nonni: il mio pubblico va dagli 8 agli 88 anni. A anche con Doc è esattamente così. Abbiamo un pubblico trasversale: con questa fiction la famiglia si riunisce davanti allo schermo a guardare tutti la stessa cosa e ormai accade raramente.

Cosa hanno in comune Luca Argentero e Doc? Quale caratteristica?

C’ho pensato tante volte, e credo che alla fine ci siamo fusi in tante cose io e Doc. Penso che entrambi siamo molto portati all’empatia verso le persone. Io, come lui, metto poca distanza con gli altri, anche nelle cose più semplici: anche con lo sconosciuto riesco a creare velocemente un rapporto. Non sono bravo come lui nell’essere così ostinato e rivolto agli altri, sono un pochino più egoista. Doc ha un livello di altruismo sproporzionato, che però è proprio di ogni vero medico, che mette il paziente davanti a qualsiasi altra cosa. Io cerco di prendermi cura delle persone che vivono e lavorano con me, sempre. Lo faccio con la mia famiglia e non solo. Spero che le persone che sono intorno a me stiano bene e per quanto mi compete provo a far sì che sia così. Ma non sono a livello di Doc, ed è il motivo per cui sento anche responsabilità nell’interpretarlo, perché questo ruolo mi fa anche rappresentare una categoria di veri eroi quotidiani.


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