Una nuova scoperta su Urano cambia quello che sapevamo sul pianeta
Nuovi modelli rivelano che Urano emette il 15% in più di energia di quanta ne riceva, svelando un sorprendente calore interno e aprendo nuovi scenari per la formazione planetaria
Per ben 40 anni le analisi relative a Urano sembravano suggerire come non emettesse calore interno. Una netta anomalia rispetto a Giove, Saturno e Nettuno. Ora però la nostra visione del pianeta è stata modificata. Il tutto grazie a una joint venture tra Nasa Goddard e University of Oxford. Sappiamo infatti che Urano rilascia il 15% in più dell’energia che riceve dal Sole.
Le prime ipotesi
L’origine della ricerca è da rintracciare in una singola misurazione di Voyager 2, che nell’ormai lontano 1986 stimò in maniera ambigua il flusso di calore emesso da Urano. Era stato equiparato a quello assorbito.
Appariva dunque come Urano fosse privo di un “motore interno” residuo dei processi di formazione planetaria. Nel corso del tempo due ipotesi hanno provato a spiegare il tutto. Da una parte un’età anomala del pianeta e dall’altra la perdita di calore per un impatto colossale. La comunità scientifica non si è però mai mostrata convinta in merito.
Il calore emesso da Urano
Al fine di riscrivere la storia termica di Urano, Amy Simon e Patrick Irwin della University of Oxford hanno sviluppato un modello energetico, che somma:
- radiazione solare riflessa, misurata a tutte le angolazioni;
- emissione infrarossa, raccolta da Hubble e altri telescopi a terra;
- parametri stagionali, considerando l’inclinazione anomala del pianeta e delle variazioni di copertura nuvolosa.
Inserendo nel grande calderone ben 70 anni di osservazioni, il modello ha rivalutato l’albedo di Urano. È stato così scoperto un valore più elevato di quanto si ritenesse in precedenza. Di fatto una riflessione più intensa vuol dire che meno energia solare viene assorbita. A parità di emissione, dunque, un surplus di calore interno diventa molto evidente.
Il risultato? Urano emette il 15% in più di energia rispetto a quanto ricevuto dal Sole. Voyager 2 ipotizzava una neutralità termica ma questa è stata chiaramente superata. Continua a essere meno energetico di Nettuno (oltre il 100% in più) ma di certo Urano non è “freddo” come si riteneva. Tale calore residuo suggerisce:
- non ha perso tutto il proprio bagaglio termico d’origine;
- da scartare la teoria di un impatto distruttivo;
- la storia di formazione del Sistema Solare resta coerente, con Urano che si è soltanto raffreddato più rapidamente ma non del tutto.
Implicazioni e prossimi step
Riuscire a ottenere un bilancio energetico di Urano potrebbe sembrare un esercizio fine a sé stesso ma non lo è. Consente infatti di comprendere al meglio le dinamiche interne dei “giganti ghiacciati”, ovvero quelli più comuni nella Galassia.
Migliorare la nostra conoscenza dei processi di raffreddamento e calcolare “esattamente” l’età effettiva di un pianeta contribuisce invece a capire la migrazione orbitale. Elementi cardine per la planetologia.
Occorre poi guardare anche a mondi distanti, considerando come gran parte degli esopianeti scoperti sono di dimensioni simili a Urano. C’è da aspettarsi che molti di questi, dunque, abbiano caratteristiche termiche analoghe.
Questo studio non chiude tale capitolo ma ne apre di nuovi. Il prossimo obiettivo è già fissato:
- misurare direttamente le fluttuazioni di calore con un orbiter dedicato;
- monitorare le variazioni stagionali in un ciclo completo di 84 anni;
- affinare i modelli di albedo e di riflessione atmosferica.