Cosa sappiamo delle sfere nella sabbia avvistate su Marte
Il mistero delle sfere marziane trovate da Opportunity e Perseverance: cosa sappiamo e perché la loro composizione apre nuove ipotesi sul passato geologico del Pianeta Rosso?
Il paesaggio marziano continua a essere oggetto di indagine. Uno dei più interessanti, possiamo aggiungere, anche per via di alcune sfere individuate in diverse regioni di Marte prima da Opportunity e poi da Perseverance, entrambe missioni della NASA. Ma di cosa si tratta esattamente?
I “mirtilli” di Opportunity
Le prime sfere individuate dalla NASA nella sabbia di Marte sono state ribattezzate Martian Blueberries (“mirtilli marziani”, appunto). Era il 2004 quando il rover Opportunity rilevava per la prima volta queste sferule di ematite grigia vicino al suo sito di atterraggio sul Meridiani Planum. Piccoli depositi di forma sferica ricchi di ossido di ferro dal colore bluastro, perciò ben visibili rispetto al rossastro tipico del suolo marziano (da qui il soprannome).
La scoperta ai tempi aveva molto colpito esperti e non, dato che l’ematite grigia è un minerale che si forma esclusivamente in presenza di acqua liquida. La loro formazione, dunque, doveva essere necessariamente legata alla presenza di acqua sotterranea nel lontano passato di Marte in un processo che implica l’accumulo di minerali disciolti attorno a un nucleo all’interno di una roccia porosa e imbevuta d’acqua.
Ricapitolando, un’attività intensa avrebbe portato le acque sotterranee ad attraversare le antiche dune di sabbia marziane, trasportando poi ossidi di ferro che si sono accumulati e successivamente – con l’erosione eolica – addensati, diventando i “mirtilli” di cui sopra.
I “mirtilli marziani” sono una prova della presenza di acqua su Marte? Sì e suggeriscono la presenza di processi idrologici sostenuti e diffusi che coinvolgono le acque sotterranee con un ambiente marziano antico fondamentalmente diverso e potenzialmente più abitabile rispetto a quanto si pensasse.
Le sfere di Perseverance
Dal 2004 al 2025 cosa è cambiato? Stavolta il protagonista è il rover Perseverance che, nella sua esplorazione del cratere Jezero iniziata nel 2021, ha individuato anch’esso delle sfere sulla superficie di Marte. Ci troviamo nelle regioni Witch Hazel Hill, Rowsell Hill, Hare Bay e Bell Island.
Attenzione, però, perché come spiega in un articolo la stessa NASA, le sfere di Perseverance non sono uguali ai “mirtilli” di Opportunity. Grazie alla telecamera a colori WATSON (Wide Angle Topographic Sensor for Operations and eNgineering), Perseverance ha ottenuto immagini ad alta risoluzione per l’analisi morfologica, concludendo che si tratta di rocce di forma varia (rotonde, ellittiche, angolari, frammentate) con micro-fori e striature.
Perseverance si avvale di altri due strumenti. PIXL (Planetary Instrument for X-ray Lithochemistry), che misura la chimica elementare su scale sub-millimetriche, ha fornito la composizione elementare dettagliata delle sfere mentre SHERLOC (Scanning Habitable Environments with Raman and Luminescence for Organics and Chemicals) ne ha rivelato composizione e struttura interna. Il risultato? Si tratta di rocce dalla composizione basaltica.
Sono due le ipotesi sulla loro origine:
- impatto meteoritico: goccioline di roccia fusa proiettate nell’aria durante un impatto, che si raffreddano rapidamente e si solidificano in sfere, analoghe alle tectiti o microtectiti terrestri;
- eruzione vulcanica: sfere formate da lava fusa durante attività vulcanica esplosiva (attività piroclastica o fontane di lava).
La complessa storia geologica di Marte
Le distinte composizioni e le ipotesi sulle origini delle sfere scoperte da Perseverance, in contrasto con i “mirtilli” di Opportunity, delineano una storia geologica di Marte molto più complessa e dinamica di quanto si pensasse fino a non molto tempo fa: diverse regioni, in diverse epoche, sono state modellate da processi dominanti altrettanto diversi.
La coesistenza di prove sia per l’antica e diffusa presenza di acqua (sfere di ematite) sia per processi energetici non acquosi (sfere basaltiche) rivela che la storia geologica di Marte non è una semplice progressione lineare da “umido” a “secco”, piuttosto un’evoluzione multi-episodica, in cui diverse forze geologiche hanno dominato in tempi o contesti geografici diversi, spingendo gli scienziati a considerare un modello paleoclimatico che potrebbe aver incluso periodi di abitabilità intermittente.
E adesso? Riportando questi campioni sulla Terra, si potranno eseguire analisi di laboratorio dettagliate, impossibili con gli strumenti dei rover in situ, così da consentirne una datazione cronologica precisa.