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SCIENZA

Incredibile scoperta riscrive la storia dei massi di Stonehenge e risolve un grande mistero

Uno studio pubblicato su Nature Geoscience dimostra che i megaliti di Stonehenge furono trasportati dagli uomini e non dai ghiacciai, respingendo la teoria glaciale

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Sulla rivista Nature Geoscience è stata pubblicata una ricerca interdisciplinare destinata a far discutere. Alle spalle vi è un team guidato dall’Università di Southampton, che ha risolto un enigma millenario.

I famosi megaliti di Stonehenge non vennero trascinati dai ghiacciai, bensì spostati volontariamente dagli antichi costruttori. La teoria glacialista è dunque stata ufficialmente smentita, ribadendo l’ingegno delle popolazioni neolitiche.

La teoria del trascinamento glaciale

Per decenni, ormai, alcuni ricercatori hanno sostenuto con forza che i cosiddetti “sarsen” e “bluestone”, ovvero i massi grandi e più piccoli di Stonehenge, fossero stati depositati in quel sito, nella piana di Salisbury, da antichi ghiacciai nel corso delle glaciazioni pleistoceniche.

Queste ipotesi prevedevano che le pietre fossero state semplicemente riallineate nel cerchio che tutto il mondo conosce. Senza di fatto un grande sforzo di trasporto da parte degli uomini del tempo.

Il team è stato però spinto a riconsiderare la versione glaciale, totalmente, sulla base di queste scoperte:

  • microstrutture d’usura sulle superfici rivolte al suolo, che risultano incompatibili con il paesaggio su ghiaccio;
  • depositi di sedimenti fluviali intorno ai siti di estrazione in Galles occidentale;
  • orientamento magnetico delle fibre di quarzo, il che è coerente con il movimento su rotaie in legno.

Prove geologiche e archeologiche

L’analisi che è stata condotta prevede tre linee di evidenza. Parliamo di datazioni al radiocarbonio dei sedimenti sotto i massi. I campioni pre-glaciali erano puliti, mentre gli strati successivi mostrano dei pezzetti di legno carbonizzato. Un chiaro indizio di pali sfruttati per lo scorrimento.

A ciò aggiungiamo i risultati della mappatura LiDAR del terreno. Ci sono tracce di scavo e solchi paralleli, distanti 1-2 metri. Il tutto è riconducibili a delle rotaie di tronchi, ben disposti a formare delle vere e proprie piattaforme mobili.

Riproducendo in scala ridotta il sistema di rotaie lignee, infine, su dei piani inclinati, gli archeologi sono stati in grado di dimostrare che un gruppo di 30-40 persone poteva essere in grado di trainare un “sarsen” da 25 tonnellate per più di 200 km. Un risultato enorme e una prova ingegneristica notevole per il tempo, a dir poco. Il tutto in meno di due settimane.

È chiaro, dunque, come le comunità neolitiche avessero sviluppato delle tecniche avanzate di ingegneria megalitica, sfruttando materie prime locali e un’organizzazione che ha dell’incredibile.

Cosa vuol dire questo per la storia di Stonehenge

Alla luce di tali scoperte, Stonehenge non è più soltanto un mistero di architettura sacra e astronomia. Di fatto è un evidente esempio di cooperazione sociale e competenza tecnologica. L’attenzione è dunque di colpo rivolta a:

  • piani di estrazione nei pressi di Carn Menyn (Galles), con mense e capanne per operai;
  • rotte di trasporto lungo la costa e i fiumi, con centri di stazionamento in Dorset e Wiltshire;
  • coordinamento rituale: l’allineamento con il solstizio suggerisce un valore sia pratico che cerimoniale.