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Fondazione Prada, l'arte classica e il riuso della bellezza

Milano, 18 nov. (askanews) - Il classico come eredità del passato, certo, ma anche come elemento vitale che può incidere sul nostro presente e sul nostro futuro. È questa una delle possibili strade per entrare nella nuova mostra di Fondazione Prada a Milano, "Recycling Beauty", un viaggio affascinante che attraversa il tempo, lo spazio e che ragiona sulla "instabilità semantica dei manufatti", fonte di fraintendimenti storici sull'uso degli oggetti, ma poi anche elemento che in molti casi

ne ha permesso la conservazione. Come per esempio della splendida Tazza Farnese, manufatto del II secolo a.C. che ha attraversato il mondo antico dall'Egitto a Roma a Samarcanda, per poi finire alla corte dei Medici.

"Il pensiero - ha detto ad askanews il professor Salvatore Settis, che con Anna Anguissola e Denise La Monica ha curato l'esposizione - è quello di riflettere su cosa è successo di questa arte antica, greca e romana, che sparisce dalla circolazione per mille anni e poi a un certo punto viene riscoperta e valorizzata, viene messa dentro le chiese, nei palazzi, si formano le collezioni e secoli dopo nasce anche l'istituzione del museo. Che cosa è successo? Come mai per mille anni non è stata considerata? Io credo che sia un tema molto contemporaneo".

Fondazione Prada, luogo tra i più significativi in Italia per la ricerca sul contemporaneo, questa volta, come era già accaduto con altre due esposizioni sul classico curate proprio da Settis, ha voluto creare una mostra di arte antica, ma in grado di avere rilevanza per il nostro tempo. Di parlare al nostro tempo, che, come le grandi epoche di transizione, è fatto di cesure, distruzioni, confronto e, spesso, rinascita. All'insegna di una ibridazione con altre culture. Processo non facile, ovviamente, perché come diceva Walter Benjamin, non c'è documento di civiltà che non sia stato anche documento di barbarie.

"Noi vediamo qui - ha aggiunto il professor Settis - degli oggetti che sono stati abbandonati nelle rovine e che sono forse il 5% delle sculture che c'erano nel mondo antico. Quello che possiamo vedere oggi, anche nei musei più famosi come i Vaticani o il Louvre è una minima parte, la maggior parte è stata distrutta: dei marmi si faceva calce, i bronzi venivano fusi e si facevano spade o monete. Si è salvato ben poco, e allora questa dialettica tra la distruzione e la resurrezione di questi oggetti è qualcosa su cui è opportuno riflettere oggi, in un tempo nel quale le distruzioni potrebbero essere ancora più grandi".

Grandezza poi è la parola che serve per definire l'opera più sorprendente della mostra, la statua colossale di Costantino di cui sono celebri i frammenti arrivati fino a noi, che per la prima volta viene ricostruita in scala naturale nella Cisterna di Fondazione Prada. Un'operazione che restituisce la magnificenza, anche spaventosa, dell'antichità e del potere, un monumento ispirato alle ancora più incredibili statue colossali di Zeus che oggi diventa strumento di riflessione proprio sulla natura stessa della potenza e, forse, della follia umana. E qui, probabilmente, si chiude il cerchio sulla struttura della mostra e del luogo che la ospita: anche grazie all'allestimento di Rem Koolhaas le opere antiche ci parlano ancora una volta della nostra contemporaneità frammentata e della nostra costante creazione di nuove rovine.

(Leonardo Merlini)

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