Squid Game 3: cosa è successo davvero nelle prime due stagioni della serie Netflix

Tutto inizia con Seong Gi-hun, un uomo che ha toccato il fondo. Vive con la madre malata, non riesce a garantire un futuro alla figlia, ed è sopraffatto dai debiti.

Finalmente è arriva la tanto attesa data di uscita della terza e ultima stagione di Squid Game su Netflix. Se avete già visto le prime due stagioni della serie al momento del lancio, e avete dimenticato alcuni snodi cruciali, tenetevi pronti a rituffarvi nell’atmosfera cruda e inquietante della storia. Ecco tutti i colpi di scena, i tradimenti, i momenti di tensione e le domande morali che hanno reso Squid Game di Netflix un fenomeno globale. Il gioco ha nuovamente inizio!

Attenzione agli spoiler

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Squid Game 1: l’inferno inizia con un gioco da bambini – Il riassunto di stagione

Tutto inizia con Seong Gi-hun, un uomo che ha toccato il fondo. Vive con la madre malata, non riesce a garantire un futuro alla figlia, ed è sopraffatto dai debiti. Passa le giornate tra scommesse fallite e bugie, consumato da una frustrazione che ormai si è fatta normalità. Un giorno, mentre aspetta la metropolitana, viene avvicinato da un uomo elegante che lo sfida a un innocuo gioco di ddakji. Ogni volta che perde, prende uno schiaffo. Ogni volta che vince, incassa soldi. Ma la vera posta arriva alla fine: un biglietto da visita, un invito a partecipare a una competizione ben più grande. Lì comincia davvero Squid Game.

Gi-hun accetta, insieme ad altre 455 persone. Si svegliano in una struttura misteriosa, tutti con tute numerate e addosso l’odore di sconfitta. Il primo gioco sembra banale: "Luce rossa, luce verde". Ma qui chi si muove, muore. Letteralmente. I partecipanti vengono abbattuti da una gigantesca bambola robotica e da cecchini invisibili. Il panico esplode, le urla rimbalzano sulle pareti mentre i corpi cadono come birilli. Quella scena, una danza macabra di disperazione, spezza subito ogni illusione: qui non si gioca, si sopravvive.

Nonostante il terrore, molti scelgono di restare. Perché? Perché fuori la vita è altrettanto crudele. Il gioco diventa un’alternativa alla disperazione quotidiana. In quel momento capiamo che il vero nemico non è la bambola assassina, ma il mondo da cui questi giocatori provengono.

Tra i concorrenti iniziano a emergere legami. C’è Cho Sang-woo, ex promessa della finanza, amico d’infanzia di Gi-hun; Ali, un immigrato pachistano che lavora in fabbrica per mantenere la famiglia; e Kang Sae-byeok, una giovane nordcoreana pronta a tutto per ricongiungersi con il fratello. Le alleanze si stringono, ma ogni prova obbliga i partecipanti a scelte devastanti. Il tiro alla fune, ad esempio, non è solo una questione di forza: si vince con l’ingegno, con la fiducia, con la disperazione trasformata in strategia.

Il gioco delle biglie è il punto di rottura. Ogni coppia deve sfidarsi a un gioco a scelta. Sembra semplice, ma il colpo basso è dietro l’angolo: chi perde muore. Sang-woo tradisce Ali, sfruttando la sua ingenuità. Lo inganna con dolcezza, lo abbraccia, gli promette sicurezza, e poi lo condanna. Quello sguardo, quel silenzio, non sono solo il tradimento di un amico: sono il simbolo di una morale che si sgretola davanti alla sopravvivenza.

Gi-hun arriva in finale contro Sang-woo. Il gioco finale, il gioco del calamaro, richiede più che forza: serve intenzione. Gi-hun vince, ma non uccide. Offre a Sang-woo la possibilità di uscire insieme. Sang-woo, stremato, si suicida. Quel gesto dice tutto: anche chi vince non riesce a sopportare il peso di ciò che ha fatto. Gi-hun prende il premio, ma non se ne fa nulla. Torna a casa e trova la madre morta. La sua vita è ancora vuota, i soldi un peso. Quando scopre che Il-nam, il vecchio apparentemente fragile e malato, il numero 1 dei concorrenti, era in realtà il creatore dei giochi, il mondo intero cambia prospettiva. Non è solo la crudeltà dei giochi a sconvolgere, ma il fatto che qualcuno li abbia ideati per puro divertimento.

Il finale è un bivio. Gi-hun non prende l’aereo per vedere la figlia. Si tinge i capelli di rosso, guarda dritto negli occhi il reclutatore e promette che farà qualcosa. Vuole fermare il gioco. Ora non è più un sopravvissuto: è un testimone che sceglie di non tacere.

Squid Game 2: dentro il meccanismo – Il riassunto di stagione

La seconda stagione di Squid Game cambia tono. Meno giochi, più retroscena. Meno sangue, più sistema. Gi-hun è un uomo nuovo: tagliato dentro, ma con un obiettivo chiaro. Vuole smantellare l’organizzazione. Comincia a seguire le tracce dei reclutatori, delle telefonate, dei simboli.

Nel frattempo, il detective Hwang Jun-ho, che nella prima stagione si era infiltrato travestendosi da guardia, torna in scena. La sua ricerca del fratello è diventata un’ossessione. Quando scopre che quel fratello è proprio il Front Man, la mente dietro le maschere, il mondo gli crolla addosso. La lotta tra i due è personale, viscerale, quasi mitologica. Due fratelli su fronti opposti, due vittime dello stesso sistema, uno che ha scelto di combatterlo, l’altro di controllarlo.

Gi-hun entra nuovamente nel circuito dei giochi, stavolta sotto copertura. Non c’è più la sorpresa della prima volta, ma una tensione più sottile. Ora conosce le regole, ma deve fingere di non sapere nulla. Scopre nuovi livelli dell’organizzazione: i VIP, i trafficanti di organi, i rapporti internazionali. Il gioco non è solo coreano. È globale.

L’umanità nei personaggi secondari prende più spazio. C’è chi partecipa per salvare un figlio, chi per vendetta, chi perché semplicemente non ha più nulla da perdere. Non ci sono più buoni o cattivi: ci sono solo sfumature di disperazione.

Il momento più teso arriva quando Gi-hun riesce a sabotare un gioco, causando un blackout nel sistema. È una piccola vittoria, ma sufficiente a far tremare l’organizzazione. Il Front Man, che fino a quel momento aveva preso parte al massacro fingendosi un concorrente e avvicinandosi sempre più al protagonista con l’inganno, lo scopre e finge di aiutarlo durante questa sua presa di posizione con una rivolta, ma invece di eliminarlo subito quando ne ha la possibilità, lo lascia andare. Il messaggio è chiaro: anche nel male, c’è un codice. Un riconoscimento tra chi ha visto l’abisso.

Nel finale, dove il Front Man fa credere di essere morto durante la rivolta, Gi-hun lascia intendere che la battaglia non è finita, anche visto che un suo amico, a causa della sua idea di intervenire, mettendo a rischio tutti, e della mancanza di coraggio di un concorrente, perde la vita. La stagione si chiude con una tensione sospesa, una promessa. La vera guerra deve ancora cominciare.

Squid Game non è mai stato solo un survival drama. È un racconto sulla disuguaglianza, sulla disperazione travestita da intrattenimento, sull’essere umano spinto all’estremo. Ma soprattutto, è una storia che ci chiede: cosa faresti tu, se fossi dentro quel gioco? E cosa faresti, se sapessi che quel gioco esiste davvero?

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