SCIENZA

Scoperta specie straordinaria di fungo in grado di mangiare la plastica

Nel Parco Yasuni (Ecuador) isolati funghi capaci di degradare il poliuretano fino a 3 cm in due settimane, anche in assenza di ossigeno: rivoluzione per le discariche

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Una delle plastiche più diffuse al mondo è senza dubbio il poliuretano. È presente un po’ ovunque, dai materassi sui quali dormiamo ai ciucci che diamo ai nostri figli, fino ai rivestimenti industriali.

Vanta un’eccellente resistenza, che è un bene per il consumatore e un danno profondo per l’ambiente. Può infatti persistere in natura per secoli. Una recente scoperta avvenuta nel Parco Nazionale Yasuni, in Ecuador, ci dà però speranza per un domani diverso e migliore: alcuni funghi sono in grado di “divorare” la plastica.

Funghi del Yasuni mangiano la plastica

Scendiamo nel dettaglio ed evitiamo titoli eclatanti. È tutto vero, iniziamo col dire questo, ma il percorso è ancora lungo. Un team di esperti ha rilanciato di colpo la speranza per una soluzione biologica al dramma dell’inquinamento da plastiche nel mondo.

Alcuni funghi endofiti, isolati da piante legnose, sono in grado di degradare lo strato solido di poliuretano fino a 3 centimetri, in appena due settimane. Tutto è avvenuto durante un corso di bioprospecting, nel Parco Nazionale Yasuni. Parliamo di una delle aree con la biodiversità più elevata al mondo. Il merito della scoperta va a un team di studenti universitari, che ha prelevato svariati ceppi di funghi endofiti da piante legnose.

In laboratorio, i ricercatori li hanno incubati su blocchi solidi di poliuretano, fornito come unica fonte di carbonio. Il risultato? In appena 15 giorni, 5 ceppi hanno mostrato capacità degradative notevoli.

I funghi hanno di fatto scavato delle gallerie, profonde fino a 3 cm, consumando la schiuma senza nessun supporto nutrizionale aggiuntivo. Il fungo migliore? Pestalotiopsis microspora, già noto per degradare altre bioplastiche. Ha però sorpreso per la sua efficacia straordinaria sul poliuretano e la capacità di operare anche in assenza di ossigeno.

Meccanismi e potenzialità applicative

Quando parliamo del poliuretano, facciamo riferimento a un polimero estremamente versatile. Lo si produce in più di 22 milioni di tonnellate all’anno. Sfruttato costantemente in questi ambiti:

  • edilizia;
  • arredamento;
  • materiali sportivi;
  • industria automobilistica.

La sua struttura chimica lo rende praticamente inerte ai comuni processi di biodegradazione, il che è comprensibilmente un problema ambientale enorme. Le schiume di poliuretano finiscono con l’accumularsi in discarica, producendo microplastiche che a loro volta rilasciano sostanze tossiche, qualora incenerite.

Nel corso degli anni sono stati studiati svariati batteri e funghi in grado di attaccare il poliuretano. L’efficacia è però sempre stata limitata. In altre situazioni, invece, sono giunti dei risultati soltanto in condizioni rigorosamente aerobiche. Un approccio che non contribuisce a risolvere il problema nelle discariche, laddove l’ossigeno scarseggia di certo a causa della compattazione.

Ma come opera il Pestalotiopsis microspora? Rilascia degli enzimi in grado di fratturare i legami uretrici e ureici del polimero. Trasforma la schiuma in dei composti più semplici, assimilabili dal fungo.

Ciò che sorprende è che l’attività non si arresta in condizioni anaerobiche. Il tutto grazie a particolari vie metaboliche, che non richiedono ossigeno come accettore finale. Tuto ciò apre a differenti scenari applicativi futuri:

  • impianti di bioreattori anaerobici nei quali i funghi degradano gli scarti di poliuretano senza aerazione;
  • inoculo di ceppi di funghi in cumuli di rifiuti compattati per accelerare il degrado;
  • possibile estrazione di intermedi di degradazione da reimmettere in cicli chimici a basso impatto.

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