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Una nuova minaccia per l'ambiente si nasconde nel permafrost

Il permafrost potrebbe nascondere una pericolosa minaccia per l'ambiente: gli scienziati hanno scoperto che contiene alcuni microrganismi ancora viventi.

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Riportare in vita ciò che per millenni è rimasto sepolto sotto strati di roccia e ghiaccio potrebbe rivelarsi una minaccia per l’ambiente – e per l’umanità intera. È questo il risultato di uno studio condotto da un team di scienziati che, analizzando alcuni campioni di permafrost, ha scoperto qualcosa di sorprendente. Non solo i microrganismi in essi contenuti sono ancora vivi, ma possono addirittura rappresentare un pericolo per la Terra, a causa della loro produzione di anidride carbonica. Ecco cosa è emerso dalla nuova ricerca.

Cos’è il permafrost (e perché è in pericolo)

Costituendo circa il 20% di tutta la superficie terrestre emersa, il permafrost rappresenta una porzione molto importante del nostro pianeta. Si tratta di una miscela gelata di ghiaccio, roccia, terreno e sabbia, presente soprattutto nelle regioni artiche (tra cui Siberia, Alaska e Canada) nei pressi dei poli, e talvolta in alta montagna. Il permafrost è molto più che materia inerte congelata: è un vero e proprio archivio storico, che racchiude resti di animali e piante, nonché numerosi microrganismi risalenti alle più svariate epoche geologiche.

Oggi, il permafrost è in pericolo: il riscaldamento globale prodotto principalmente dall’uso di combustibili fossili e, quindi, dall’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera sta facendo sciogliere il ghiaccio a una velocità sempre maggiore. Una delle prime preoccupazioni riguarda il contenuto “vivente” del permafrost. Batteri e microrganismi potrebbero tornare in vita e provocare infezioni nell’uomo o negli animali? Gli scienziati non temono però che sia questo il problema più grande. Piuttosto, dovremmo essere allarmati dal contenuto di carbonio nascosto nelle viscere del permafrost, in attesa di fuoriuscire e cambiare drammaticamente le sorti dell’ambiente.

Il nuovo studio sullo scioglimento del permafrost

Per comprendere meglio le implicazioni del cambiamento climatico sul permafrost, un team di scienziati della University of Colorado Boulder ha condotto una missione esplorativa all’interno del Permafrost Tunnel Research Facility, una sorprendente struttura militare dell’US Army Corps of Engineers che scende per oltre 100 metri sotto la superficie dell’Alaska. I ricercatori hanno raccolto alcuni campioni di permafrost risalenti da poche migliaia di anni a decine di migliaia di anni fa. Quindi, dopo aver aggiunto dell’acqua, li hanno incubati a temperature comprese tra i 4° e i 12°C, simulando l’estate artica.

È emerso qualcosa di sorprendente: nei primi mesi, le colonie batteriche sono cresciute a velocità ridotta, talvolta sostituendo appena una cellula ogni 100mila al giorno – per paragone, in condizioni di laboratorio le colonie si rinnovano completamente nel giro di poche ore. Ma dopo 6 mesi, la situazione è cambiata. I batteri hanno cominciato a svolgere la loro attività molto più velocemente. E, dopo il loro lunghissimo “sonno”, hanno iniziato a cibarsi di qualsiasi materia organica presente nelle vicinanze, scomponendola e rilasciando nell’aria grandi quantità di anidride carbonica e metano.

“Questi non sono affatto campioni morti. Sono ancora ampiamente in grado di ospitare forme di vita robuste, capaci di scomporre la materia organica e rilasciarla sotto forma di anidride carbonica”, ha affermato Tristan Caro, autore principale dello studio pubblicato sul Journal of Geophysical Research: Biogeosciences. Ecco allora che gli scienziati lanciano l’allarme: “In che modo lo scioglimento di tutto questo terreno ghiacciato, dove sappiamo che sono immagazzinate tonnellate di carbonio, influenzerà l’ecologia di queste regioni e il tasso di cambiamento climatico?” – ha dichiarato il geomicrobiologo Sebastian Kopf.

Ciò che desta maggior preoccupazione non è il singolo picco di temperatura che si può raggiungere nelle regioni artiche, bensì il prolungamento delle estati sempre più calde. I microrganismi, infatti, hanno dimostrato di aver bisogno di mesi per potersi rimettere in attività dopo il loro “sonno” ghiacciato. E il riscaldamento globale sta trasformando terre gelate come l’Alaska in regioni dove le future condizioni climatiche somiglieranno pericolosamente a quelle ricreate in laboratorio dagli scienziati, nel corso di questo studio.