Sigfrido Ranucci, i due killer stranieri e i nemici potentissimi: chi vuole eliminarlo

L'esplosione di questa notte, indirizzata al giornalista, è uno degli atti intimidatori con cui da anni convive e che lo ha portato a vivere sotto scorta.

Mara Fratus

Mara Fratus

Giornalista

Nella mia vita non possono mancare, il silenzio, il mare e Il Libro dell'inquietudine sul comodino, insieme a un romanzo di Zafon.

Attimi di puro terrore questa notte per Sigfrido Ranucci. La sua auto, e quella di sua figlia, sono esplose proprio mentre erano parcheggiate sotto la casa del giornalista a Campo Ascolano, frazione del comune di Pomezia, alle porte di Roma. A darne notizia è stato lo stesso conduttore di Report, sul suo profilo Instagram, dove ha condiviso il post della trasmissione, in cui compare anche il drammatico video:

Questa notte un ordigno è stato piazzato sotto l’auto parcheggiata del giornalista e conduttore di Report, Sigfrido Ranucci. L’auto è saltata in aria, danneggiando anche l’altra auto di famiglia e la casa accanto. Sul posto carabinieri, Digos, vigili del fuoco e scientifica. La Procura di competenza si è attivata per le verifiche necessarie ed è stato avvisato il Prefetto. La potenza dell’esplosione è stata tale per cui avrebbe potuto uccidere chi fosse passato in quel momento.

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Raggiunto dall’Ansa, mentre si recava a denunciare l’attentato, Ranucci ha poi sottolineato: "Sembra che si tratti di un ordigno rudimentale, ma ora bisogna vedere la natura dell’esplosivo. Con tutte le minacce che riceviamo non è semplice risalire alla matrice". E di minacce e intimidazioni, in questi anni, il giornalista, che ormai vive sotto scorta, ne ha ricevute parecchie, proprio per le inchieste che porta avanti con coraggio e schiena dritta nel suo lavoro.

Sigfrido Ranucci, la vita sotto scorta e le minacce di morte: chi vuole eliminarlo

"Io non so ancora dare una chiave di lettura a quello che è successo – ha spiegato Ranucci a Repubblica, dopo l’esplosione avvenuta la notte scorsa -. Quello che ho fatto è mettere insieme un po’ di cose che sono successe in questi mesi. Io non le ho mai pubblicizzate pubblicamente, anche per tutelare le persone a me care. L’estate scorsa, un anno fa, abbiamo trovato i proiettili, due proiettili della P38 fuori casa. Poi c’è un elenco di situazioni particolari accadute negli ultimi mesi, a partire anche dal tentativo di delegittimazione nei miei confronti". Le recentissime parole del giornalista si riferiscono agli ultimi episodi intimidatori prima dell’attentato di questa notte, ma negli ultimi 16 anni ce ne sono stati diversi, tanto da essere necessaria la presenza di una scorta, che accompagna Ranucci dal 2014.

Le minacce al conduttore di Report, però vanno avanti dal 2009, da quando le sue importanti e preziose inchieste su camorra, ndrangheta e mafia, oltre a quelle su legami oscuri tra politica e malavita, lo hanno reso un potenziale bersaglio per diverse organizzazioni criminali. Fu proprio Ranucci a raccontare di essere nel mirino: "Sì, ero sotto tutela dal 2009 perché la famiglia Ercolano aveva chiesto a un soggetto pericoloso di tenermi d’occhio. Avevo realizzato un’inchiesta in Sicilia su una cava di sabbia gestita dal clan catanese", spiegava al mensile Noi AntiMafia. Sempre alla rivista aveva svelato:

Un narcotrafficante legato alla ‘ndrangheta, alla destra eversiva e al cartello colombiano di Pablo Escobar aveva incaricato due killer albanesi di spararmi. Non aveva gradito un mio servizio sui rapporti tra politica e criminalità organizzata. Venne intercettato nel penitenziario di Padova.

E infine anche l’esecuzione fermata da Matteo Messina Denaro, dopo l’intervista di Ranucci a Francesco Pennino, affiliato al clan Ferrara: "Anche in quel caso un esponente dei Santapaola voleva farmi ammazzare, ma l’omicidio fu stoppato da Matteo Messina Denaro, perché non voleva attirare l’attenzione degli inquirenti".


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