Eddington, Libere Recensioni: Joaquin Phoenix e Pedro Pascal fanno satira sul Lockdown

L'ultima opera del cineasta newyorkese prende di mira la schizofrenia dell'ultimo quinquennio USA, ma si perde in un impianto narrativo non sempre coerente

Roberto Ciucci

Roberto Ciucci

Giornalista

Appassionato di sport, avido consumatore di manga e film, cultore di tutto ciò che è stato girato da Quentin Tarantino e musicista nel tempo libero.

Benvenuti a "Libere Recensioni", la rubrica settimanale di Libero Magazine dedicata ai film in uscita al cinema e in anteprima nazionale. La puntata di oggi è dedicata ad Eddington, film di Ari Aster con Joaquin Phoenix e Pedro Pascal.

Arriva quasi sempre quel momento nella vita di un regista specializzato in un particolare genere, in questo caso l’horror, in cui decide di provare a traslare la propria poetica in un contesto più apertamente politico. Per Ari Aster, dopo le pellicole diventate istantamente dei cult Hereditary e Midsommar, e dopo un più sperimentale Beau ha paura, quel momento coincide con la realizzazione di Eddington, al cinema dal 17 ottobre 2025. Ancora affidandosi a Joaquin Phoenix, sempre una garanzia, affiancato da un cast corale in cui l’altra "voce grossa" è quella di Pedro Pascal, Aster prova a raccontare alcune "malattie" dei giorni nostri. Non è un caso, quindi, che la storia si ambienti nel maggio del 2020, nel pieno del primo lockdown per la pandemia da Covid-19.

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Questa città è troppo piccola per tutti e due

Prendiamo in prestito una delle catchphrase più famose del cinema western per descrivere la situazione di Eddington, cittadina del New Mexico sul confine col territorio indiano in cui si ambienta la vicenda dell’omonima pellicola. Lo sceriffo Joe Cross (Phoenix) è alle prese la gestione del decadente agglomerato urbano, che sta recependo (con discreta reticenza) le nuove direttive in materia di distanziamento e di utilizzo delle mascherine. Lo stesso Cross, malato di asma, si rifiuta di indossarne una, sostenendo che il virus a Eddington semplicemente non ci sia. Dall’altro lato esatto della barricata si siede il sindaco uscente, e in piena campagna elettorale, Ted Garcia (Pascal). Fervente sostenitore della necessità di proteggersi dalla malattia, il politico sta cercando in tutti i modo di farsi rieleggere, nonostante diverse voci poco edificanti sul suo conto, per dare il via alla costruzione di un gigantesco datacenter nei pressi della città. Quando l’acredine e gli screzi tra Garcia e un Cross che si sente sempre più esautorato della propria autorità giungono all’apice, quest’ultimo prende una decisione drastica: candidarsi egli stesso come sindaco.

Follia febbricitante e accusa reiterata – La recensione di Eddington di Ari Aster

Ari Aster con Eddington non le manda a dire, prendendo di mira praticamente ogni singolo evento che ha caratterizzato gli schizofrenici ultimi 5 anni degli USA. Da Covid e distanziamento sociale, al movimento Black Lives Matter e alle rivolte post omicidio di George Floyd, passando per "l’attivismo politico" nell’epoca di Instagram e TikTok, l’amore degli americani per gli arsenali casalinghi e i santoni da sito web. Ce n’è davvero per tutti i gusti, in questa spirale narrativa che scivola nella follia col procedere del minutaggio.

Il cineasta newyorkese prende evidentemente spunto dalla cinematografia di Joel e Ethan Coen e dal western in generale. Non a caso, in soldoni la trama potrebbe riassumersi con uno sceriffo di frontiera (Cross) in lotta con il politico corrotto e arraffone (Garcia). Il risultato, però, è ben lontano dalla poetica espressiva di un Fargo o di un Non è un Paese per vecchi. Eddington deraglia nel grottesco e nel weird, in particolare nella seconda parte, e l’impianto narrativo a tratti incoerente e scollato finisce per far risultare la durata (150 minuti) oltremodo indigesta. Nemmeno il folle finale, che sembra tratto quasi da una sequenza di un videogame, risolleva la pellicola, che finisce per assumere i tratti dell’occasione sprecata.

Burattini più che attori

Se Joaquin Phoenix regge sulle proprie (larghissime) spalle un ruolo che sfora ben presto nel letterale delirio allucinatorio e febbricitante, lo stesso non si può dire del resto del nutrito cast. Partendo da Pedro Pascal, passando per Emma Stone nei panni della sconclusionata moglie di Cross, e arrivando a un Austin Butler nei panni del santone/guru/cospirazionista, tutti gli attori sembrano quasi dei burattini. Dei pupazzi presi e posizionati dal regista a seconda della necessità, ma senza una reale logica o spessore narrativi.

Oltre ai Coen, lo sguardo di Aster è ovviamente puntato a quello new wave di film europei che stanno spopolando a Hollywood e ai grandi Festival, in particolare Lanthimos. Ma il sentimento non arriva con la stessa forza e la coperta da "neo-western" si perde nella mancanza di coesione generale. Dopo due pellicole decisamente puntuali come Hereditary e Midsommar, il regista sembra aver perso in parte la chiarezza della propria direzione.

Voto: 6/10


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